venerdì 8 febbraio 2013

Ayleen


Storie di vampiri, storie di immortali. Con questa certezza nel cuore camminavo quella sera verso casa. Sapevo che Hayleen aveva rappresentato col suo ingresso nella mia vita un passo avanti, un avvicinamento verso quel comune concetto di felicità cui da sempre anelavo. E non di meno mi spaventava l’idea che questa mia ritrovata, e appena conquistata gioia, dipendesse in così alta forma dal suo volere. Era in fondo la sua vicinanza qualcosa di imposto, che non nasceva da una mia consapevole decisione. Era un regalo se lo si vuol vedere sotto un’altra veste. Una costrizione a volte. Così, come spesso mi accadeva, rientrando a casa non mi recai a salutarla nella nostra stanza del sonno. Come se nulla fosse e ancora abitassi da solo andai invece in cucina dove trovai ad aspettarmi i residui della pasta d’orzo della mattina. Con un cucchiaio mi servii abbondantemente della pastina ormai scotta e quasi gelata, poi lentamente inziai a camminare verso di lei. Mi denudavo mentre i passi insicuri mi conducevano dalla mia novella sposa. Entrando nella stanza, nudo mi sdraiai accanto al suo corpo esangue e bianco. il volto emaciato girato di lato mostrava le ossa della mandibola e gli zigomi resi duri dalla mancanza di nutrimento. Voltandomi le presi il volto tra le dita e lo accostai al naso. il suo respiro mi riscaldò per un istante. Flebile come quello di un neonato eppure infinitamente più doloroso. Le mie labbra si accostarono alle sue. e la mia bocca aderì completamente schudendosi in un invito cui corrispose una risposta spenta. Come sempre mi voltai verso la cassettiera al lato del letto e ne estrassi il piccolo pugnale dall’imugnatura in legno d’acero. La punta affilata risaltava dello scuro dei giorni precedenti. il mio volto solitario si rifletteva nella lama lucida e brillante. Infilai la punta sotto il piede, e bucai la pelle morbida sotto le dita. Non potevo rischiare di procurarmi altri buchi sospetti. non in un’epoca di malattie infettive e mortali. Bucai e la mia pelle rispose con un sorriso rosso il cui odore metallico si diffuse in un istante nella stanza e venne recepito immediatamente dalle mie narici rese ormai percettive dal duro regime cui Ayleen mi sottoponeva da settimane. Immediatamente ascoltai il respiro della donna che mi era accanto farsi più forte. un suo verso gutturale mi regalò brividi che mi annuciarono il piacere che stava per venire attraverso le sue cure. Voltandosi fino a ricoprirmi del suo corpo avvertii il suo peso sulle mie membra. Languidamente la mia pelle mi rivelò il suo lento strisciare ai miei piedi dove le sue labbra si aprirono e la sua bocca iniziò a succhiare. Come una schiava in una forma di adorazione sentivo il calore della sua saliva inumidirmi le dita mentre ascoltavo i versi della sua gola succhiare il prezioso nutrimento. 

Parole


Poggia la testa sul cuscino...così. 
Aspetta. 
Non ti ho detto di baciarmi. 
Resta immobile per favore, voglio guardarti. 
Sei bellissima. 
Hai un corpo bellissimo e un viso bellissimo e il tuo sorriso è delizioso. 
Adesso lascia che ti baci. 
Chiudi gli occhi per favore. grazie. 
No, no, non devi rispondere al bacio. 
Socchiudi le labbra e lascia che sia io a entrare nella tua bocca. 
Sei morbida. 
Come mai ti trema il mento se ti passo la lingua sulle labbra? 
La mia è una carezza, senti com'è delicata. 
Mi piace baciarti così. 
Metti le braccia dietro, come fossi legata. 
Brava. Immobile. Devi stare sempre immobile quando sono con te. 
Permettimi di scoprire il tuo corpo. 
Al tuo seno piace, senti com'è sensibile? Adesso lo morderò...tu rimani con gli occhi chiusi e non emettere neanche un respiro. Non voglio punirti. 
Visto? E' già finito. 
Lo so, ti ha fatto un pò male ma senti com'è più sensibile adesso? 
Voglio che tu ti fidi di me.
Apri gli occhi. Guardami. 
Voglio che tu mi prometta che ti affiderai a me. Che non avrai mai paura di quello che ti farò. Che anche nel dolore sarai pronta a lasciarti trasportare dalle mie parole e dai miei gesti. Che farai tutto ciò che ti chiederò. Senza mai chiedermi il perché. Se lo farai ti prometto di starti accanto, di non abbandonarti mai al silenzio se non per il piacere di farlo. 
Ti curerò quando ne avrai bisogno. Berrò le tue lacrime se me lo chiederai. 
Ti laverò, ti asciugherò, pettinerò i tuoi capelli. 
Cucinerò per te e ti imboccherò. 
Ti guarderò ridere. Ogni tuo sorriso sarà mio. Così come ogni attimo della tua sofferenza. 
Vivrò di te e delle tue emozioni e tu vivrai delle sensazioni che saprò darti. 
Aspetta che mi avvicini alla tua bocca. 
Rispondimi. 
Grazie. 
Lascia che ti baci adesso. 
No, non sulle labbra. 
Hai un buon sapore. 
Leccami le dita. 
Brava. 
Ti piace il tuo sapore? Si? 
Lo berrai ogni volta che lo berrò io. 
Il tuo piacere sarà di tutti e due. 
Lascia che ti disseti con la mia bocca adesso. 
Ti amo 

Un pensiero nel cuore


Portarmi dietro un pensiero nel cuore. Questo faccio da sempre. Questo condiziona la mia vita e il mio modo di essere. A volte diviene un’ansia incontrollabile che sembra dovermi schiacciare. A volte invece ha le tinte sbiadite di un ricordo, nemmeno troppo delicato, che ritorna e mi fa rabbrividire. Tutto ruota attorno a esso, in quei momenti, e tutto sembra ruotare attorno a me. A volte invece si trasforma in pregiudizio e allora non esistono che parole aspre da scagliare in faccia a chi mi è vicino…o a me stesso. Essere il peggior peccato commesso da una persona. Il su unico cruccio. L’unico vero errore. Non esistono privazioni troppo dure o sacrifici abbastanza grandi per cercare di porvi rimedio. Perché, semplicemente, rimedio non esiste. La sua voce spesso ritorna chiara alla mie orecchie. Profonda o sottile come una carezza, quando invece dovrebbe essere uno schiaffo. E allora sorrido. E mi volto indietro sapendo di essere seguito. E mi fermo per permetterle di raggiungermi. Ma la verità è che IO non sono un ricordo. Io non sono nessuna voce, nessuna carezza. Resto un errore. Gigantesco. Eppure dentro di me rimane una certezza. Che lei non è ciò che appare e che testardamente dice di essere. Per me lei continuerà ad essere e resterà per sempre la donna che ho visto il giorno in cui per la prima volta le regalai esperienza. Gli occhi luminosi, la fronte lucida rivestita di piccole perle trasparenti. E la voce tremante, uguale a quella di sua madre, che né io né lei abbiamo mai conosciuto, ma che in quel momento sapevo, stava parlando attraverso la sua bocca. La fermai mentre scappava e si allontanava spaventata e le presi il viso tra le mie mani che in quel momento sentivo enormi e protettive, come mai più mi sarebbe capitato. E le baciai le labbra, in un gesto di affetto e tenerezza. Capii che avrei vissuto per pochi altri momenti, importanti come quello. Da allora ancora sto aspettando. I miei occhi sono pieni delle lacrime che lei non ha voluto versare, quando doveva. E le mie gambe, le braccia, il corpo intero vibrano al ricordo di qualcosa che solo lei ha vissuto. È la mia meravigliosa condanna questa. Essere uno dei pochi che sa, e per questo non poter pretendere nulla più che brutalità. E rimorsi. E terrore, che di notte ancora provo quando penso alle sue scelte. Non rimpiango nulla del mio passato, perché questo significherebbe dire addio per sempre a un periodo che è stato la mia vita intera. E che mi ha reso ciò che sono. Rimpiango di essere stato e, di continuare ad essere nei suoi pensieri, la causa del suo unico dolore. Non verrò mai affrancato per questo, e le spalle già mi si stanno incurvando sotto il peso che mi schiaccia. Sono già stato dimenticato, e lo sarò di nuovo perché nulla di ciò che ho dato è stato accettato. Nulla di ciò che ho sentito, corrisposto. Ma non rimpiango neanche questo. L’unica cosa che ancora mi fa male è che il suo ritorno ha cancellato una parte del mio dolore che adesso, che è di nuovo lontana, non sembra tornare. Eri il mio dolore. Il pensiero fisso che ispirava e cancellava le mie giornate. Non pensarmi non mi ha mai fatto dimenticare. Eri il mio privilegio. Perché potevo pensarti e piangerti e compatirti e urlare anche. Perché eri il volto del mio dolore. E potevo farlo. Potevo illudermi che fosse la sofferenza a costringerti a me lontana. Che le mie lacrime erano versate dai tuoi occhi, e che i tuoi pensieri erano dedicati in cuor tuo a me. Mi hai tolto questa certezza, l’hai vestita di dimenticanza. Mi hai privato della mia malinconia, che ormai era un’amica, e mi hai lasciato solo con colpe che dovrei provare e che invece non sento mie. Questo è il peccato più grande che hai commesso. Mi hai lasciato nudo nell’anima e col cuore vuoto. Perché ora so che non posso piangere per te, perché tu non lo hai mai fatto. Perchè ora so che non c’era nulla che ci costringeva lontani, solo una scelta. Perché, infine, ora so che non sono stato nulla… se non un pensiero da portarti per sempre nel cuore. 

Ricordo 2


DA ADESSO SARAI UN RICORDO LONTANO. UN PAGINA SCOLORITA CHE BRUCERà DENTRO DI ME. E DEL SUO FUMO MI INTOSSICHERò E MI INEBRIERò. COME NON HO MAI FATTO CON NESSUNA FRAGRANZA. COME NON HO FATTO MAI. SARAI SOLO PAROLE NON DETTE. NEMMENO SUSSURRATE. SARAI UNA CAREZZA DESIDERATA QUANDO SARò TRISTE. UN BACIO SOGNATO NEL DORMIVEGLIA. FOTO. CHE RIPRENDERò QUANDO MI SENTIRò SOLO E CHE CONTEMPLERò IN SILENZIO INSIEME AL DESIDERIO DI TE. SARAI UNA STELLA NEL CIELO QUANDO SARò SDRAIATO SULLA SPIAGGIA DI NOTTE. UNA STELLA CADENTE COME SIAMO NOI ADESSO. SARAI SENSAZIONI ED EMOZIONI CHE NON RIUSCIRò AD AFFERRARE. SARAI UN RIMPIANTO, UNA TRISTEZZA LONTANA, UNA MALINCONIA SOTTILE CHE NON AMMETTERò MAI. SARAI POLVERE QUANDO STARNUTIRò. SARAI LACRIME CHE NON VERSERò Più. SARAI LA DISPERAZIONE CHE MI ACCOMPAGNERà QUANDO SARò TROPPO UBRIACO PER RIDERE. SARAI UN SORRISO CHE MI AFFIORERà SULLE LABBRA QUANDO PENSERò AI MOMENTI BELLI DELLA MIA VITA. SARAI UN DELITTO CHE NON AVRò MAI IL CORAGGIO DI PERPETRARE. SARAI LA SOLITUDINE QUANDO FUMERò DI NOTTE NEL MIO LETTO. SARAI UN SEGNO INESISTENTE SUL MATERASSO. IL CUSCINO CHE ABBRACCERò MENTRE DORMO. SARAI UN SOGNO CHE CONTINUERò A FARE TUTTE LE NOTTI SENZA CAPIRLO. E CHE MI FARà STAR MALE AL RISVEGLIO. SARAI LA VOGLIA DI VIVERE E QUELLA DI MORIRE. SARAI SOLO UN  RICORDO LONTANO DA SCRIVERE E PENSARE.

Un ricordo


Di lei mi è rimasto il ricordo. Ogni tanto mi riscalda, ogni tanto mi fa sentire freddo, ma il più delle volte se ne sta lì. A fissarmi. E io la guardo in quei suoi occhi di quel grigio opaco e penetrante. E mi ci perdo dentro.

Vivono tra noi


C’è questo tizio. Alto, carnagione scura, mento sporgente, occhi infossati nelle orbite. Un neo sulla fronte. Nel centro esatto della fronte, quasi a dividere perfettamente il viso insieme alla linea del naso. Ha capelli neri, lisci. Labbra sottili, orecchie piccole, una lieve peluria stranamente chiara, sul rossiccio, che gli scurisce le guance e fa sembrare più grossi gli zigomi. Sarà più o meno alto un metro e ottanta. Veste di nero. Giubbotto nero di pelle, t-shirt nera che si intravede perché il giubbotto e sbottonato. Jeans neri piuttosto attillati, a vita bassa. Anfibi neri. Infila una mano nella borsa che ha accanto ai piedi per terra. È una borsa da computer. Di quelle capienti. Tira fuori degli occhiali da sole, montatura e lenti nere. Si copre gli occhi, di un verde brillante. Il sole è alto nel cielo. Ma fa freddo. Tira una brezza gelata. La strada è deserta. Il nostro tizio sta sul marciapiede. Dritto, rigido nelle sue spalle larghe. Ad un certo punto esplode un rumore nel silenzio assordante. Davanti a lui si avvicina un’utilitaria verde. Accosta al marciapiede di fronte. Si apre la portiera. Il riverbero del sole sul finestrino emette un strano scintillio. Ne scende una ragazza longilinea, alta. Gambe lunghe. Tacchi a spillo da 12 cm, mini gonna rossa. Seno prosperoso strizzato in una camicetta bianca di un paio di misure più piccola. Capelli lunghi che le arrivano sulle spalle, colore d’oro. Labbra morbide e rosse, occhiali da sole rossi, lineamenti sottili e delicati. Ha le mani lunghe, le dita affusolate. Non porta anelli né orecchini. Si attarda a raccogliere qualcosa dal retro della macchina. Tira fuori una 24 ore. Rossa. Cammina verso il nostro tizio. Camminata sicura. I tacchi emettono un ticchettio che rimbomba nell’assurdo vuoto siderale della strada deserta. I passi sono calcolati. Brevi, decisi. Sensuali. Il sole le illumina il viso rendendola quasi eterea. Con una mano si scosta una ciocca di capelli dalla fronte imperlata di sudore. La minigonna è di pelle. Arriva davanti al tizio di prima. Lo guarda fisso nelle lenti scure. Sorride, scoprendo denti bianchi e regolari. Si accarezza le labbra con la lingua. Con fare da santa puttana.
-è quella?- dice lui interrompendo il silenzio e indicando la 24 ore nelle mani della ragazza..
Bel timbro di voce. Profondo, professionale.
-è quella?- risponde lei con voce che sa di miele, e pelle di vaniglia.
Il tizio accenna un sorriso, a mezza bocca, rapido. Breve. Già finito.
Raccoglie la borsa da terra e gliela passa. Lei gli passa la valigetta. Poi il tizio va via verso il nulla che colora d’azzurro l’orizzonte. Lei ritorna rapidamente in macchina. Gira le chiavi, mette in moto. Fissa la borsa, la prende e se la mette sulle gambe pensando che lui farà lo stesso appena raggiunto quel punto invisibile in cui si diventa parte del niente. Apre la chiusura lampo sulla sommità e ci guarda dentro.
Sorride. Infila la mano dentro la borsa e tira fuori il corpicino di un bambino. Appena nato. Appena morto.
Di nuovo s’inumidisce le labbra. Spegne la macchina. Stringe il corpicino tra le braccia, sul suo seno. Cullandolo. Avvicinandolo al grembo materno quasi per allattarlo in una caricatura d’amore materno.
Lo tiene in una stretta forte ma affettuosa. Avvicina il piccolo capo al naso. Si inebria dell’odore d’innocenza di quella piccola bambola fatta di carne. Sorride. Allarga la bocca. Poi la spalanca in un modo innaturale, fa quasi paura. Lancia un rapido sguardo allo specchietto. E affonda i denti nel cranio tenero dell’infante. Un rumore di piccole ossa frantumate da zanne fa eco alla pace del deserto che la divora. Poi si sente succhiare. E il volto della bella ragazza dalla carnagione chiara diviene scuro di sangue e cervella.

Nell’anno del Signore 2004 un’orrenda orda di barbare escrescenze partorite dal grembo infetto e putrescente di una genia di orrendi mostri provenienti da un passato remoto è tornata ad infestare la nostra madre terra.